Carnevale di Venezia.
Le sue origini sono molto antiche: la prima testimonianza risale ad un
documento del Doge Vitale Falier del 1094, dove si parla di divertimenti
pubblici e nel quale il vocabolo Carnevale viene citato per la prima
volta. L’istituzione del Carnevale da parte delle oligarchie veneziane è
generalmente attribuita alla necessità della Serenissima, al pari di
quanto già avveniva nell’antica Roma (vedi panem et circenses), di
concedere alla popolazione, e soprattutto ai ceti più umili, un breve
periodo dedicato interamente al divertimento e ai festeggiamenti, durante
il quale i veneziani e i forestieri si riversavano in tutta la città a far
festa con musiche e balli sfrenati.
Attraverso l’anonimato che garantivano maschere e costumi, si otteneva una
sorta di livellamento di tutte le divisioni sociali ed era autorizzata
persino la pubblica derisione delle autorità e dell’aristocrazia.
Evidentemente tali concessioni erano largamente tollerate e considerate un
provvidenziale sfogo alle tensioni e ai malumori che si creavano
inevitabilmente all'interno della Repubblica di Venezia, che poneva rigidi
limiti su questioni come la morale comune e l'ordine pubblico dei suoi
cittadini.
Il Carnevale antico
Il primo documento ufficiale che dichiara il Carnevale di Venezia una
festa pubblica è un editto del 1296, quando il Senato della Repubblica
dichiarò festivo il giorno precedente la Quaresima.
In quest’epoca, e per molti secoli che si succedettero, il Carnevale
durava sei settimane, dal 26 dicembre al Mercoledì delle Ceneri, anche se
i festeggiamenti talvolta venivano fatti cominciare già i primi giorni di
ottobre.
Le maschere ed i costumi
La venditrice di essenze, Pietro Longhi, ca 1756, Ca' Rezzonico (con
raffigurazione di una moretta e due baute)
La Larva, maschera del costume Bauta
Indossando maschere e costumi era possibile celare totalmente la propria
identità e si annullava in questo modo ogni forma di appartenenza
personale a classi sociali, sesso, religione. Ognuno poteva stabilire
atteggiamenti e comportamenti in base ai nuovi costumi ed alle mutate
sembianze. Per questo motivo, il saluto che risuonava di continuo
nell’atto di incrociare un nuovo "personaggio" era semplicemente
Buongiorno signora maschera.
La partecipazione gioiosa e in incognito a questo rito di travestimento
collettivo era, ed è tuttora, l’essenza stessa del Carnevale. Un periodo
spensierato di liberazione dalle proprie abitudini quotidiane e da tutti i
pregiudizi e maldicenze, anche nei propri confronti. Si faceva tutti parte
di un grande palcoscenico mascherato, in cui attori e spettatori si
fondevano in un unico ed immenso corteo di figure e colori.
Con l’usanza sempre più diffusa dei travestimenti per il Carnevale, a
Venezia nacque dal nulla e si sviluppò gradualmente un vero e proprio
commercio di maschere e costumi. A partire dal 1271, vi sono notizie di
produzione di maschere, scuole e tecniche per la loro realizzazione.
Cominciarono ad essere prodotti gli strumenti per la lavorazione specifica
dei materiali quali argilla, cartapesta, gesso e garza. Dopo la fase di
fabbricazione dei modelli, si terminava l’opera colorandola e
arricchendola di particolari come disegni, ricami, perline, piumaggi e
quant’altro. I cosiddetti mascareri, che divennero veri e propri artigiani
realizzando maschere di fogge e fatture sempre più ricche e sofisticate,
vennero riconosciuti ufficialmente come mestiere con uno statuto del 10
aprile 1436, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia.
Uno dei travestimenti più comuni nel Carnevale antico, soprattutto a
partire dal XVIII secolo, rimasto in voga ed indossato anche nel Carnevale
moderno, è sicuramente la Bauta (da pronunciarsi con l'accento sulla u).
Questa figura, prettamente veneziana ed indossata sia dagli uomini che
dalle donne, è costituita da una particolare maschera bianca denominata
larva sotto ad un tricorno nero e completata da un avvolgente mantello
scuro chiamato tabarro. La bauta era utilizzata diffusamente durante il
periodo del Carnevale, ma anche a teatro, in altre feste, negli incontri
galanti ed ogni qualvolta si desiderasse la libertà di corteggiare od
essere corteggiati, garantendosi reciprocamente il totale anonimato. A
questo scopo la particolare forma della maschera sul volto assicurava la
possibilità di bere e mangiare senza doverla togliere.
Un altro costume tipico di quei tempi era la Gnaga, semplice travestimento
da donna per gli uomini, facile da realizzare e d’uso piuttosto comune.
Era costituito da indumenti femminili di uso comune e da una maschera con
le sembianze da gatta, accompagnati da una cesta al braccio che
solitamente conteneva un gattino. Il personaggio si atteggiava da donnina
popolana, emettendo suoni striduli e miagolii beffardi. Interpretava
talvolta le vesti di balia, accompagnata da altri uomini a loro volta
vestiti da bambini.
Molte donne invece, indossavano un travestimento chiamato Moretta,
costituito da una piccola maschera di velluto scuro, indossata con un
delicato cappellino e con degli indumenti e delle velature raffinate. La
Moretta era un travestimento muto, poiché la maschera doveva reggersi sul
volto tenendo in bocca un bottone interno (e per questo motivo chiamata
anche servetta muta).
Le feste
Dettaglio de Il rinoceronte, Pietro Longhi, 1751, Ca' Rezzonico
Durante il Carnevale le attività e gli affari dei veneziani passavano in
secondo piano, ed essi concedevano molto del loro tempo a festeggiamenti,
burle, divertimenti e spettacoli che venivano allestiti in tutta la città,
soprattutto in Piazza San Marco, lungo la Riva degli Schiavoni e in tutti
i maggiori campi di Venezia.
Vi erano attrazioni di ogni genere: giocolieri, acrobati, musicisti,
danzatori, spettacoli con animali e varie altre esibizioni, che
intrattenevano un variopinto pubblico di ogni età e classe sociale, con i
costumi più fantasiosi e disparati. I venditori ambulanti vendevano ogni
genere di mercanzia, dalla frutta di stagione ai ricchi tessuti, dalle
spezie ai cibi provenienti da paesi lontani, specialmente dall’oriente,
con il quale Venezia aveva già intessuto stretti e preziosi legami
commerciali sin dai tempi del famoso viaggio di Marco Polo lungo la via
della seta.
Oltre alle grandi manifestazioni nei luoghi aperti, si diffusero ben
presto piccole rappresentazioni e spettacoli di ogni genere (anche molto
trasgressivi) presso le case private, nei teatri e nei caffè della città.
Nelle dimore dei sontuosi palazzi veneziani si iniziarono ad ospitare
grandiose e lunghissime feste con sfarzosi balli in maschera.
È comunque nel XVIII secolo che il Carnevale di Venezia raggiunge il suo
massimo splendore e riconoscimento internazionale, diventando celeberrimo
e prestigioso in tutta l’Europa del tempo, costituendo un’attrazione
turistica ed una mèta ambita da migliaia di visitatori festanti.
Sono di quest’epoca le famigerate avventure che videro protagonista, a
Venezia, uno dei più celebri personaggi del tempo: Giacomo Casanova.
Scrittore veneziano molto prolifico, fu tuttavia maggiormente conosciuto
come uno dei massimi esponenti dell’aspetto libertino della Venezia di
quel tempo. Citato ancora oggi per la sua nomea di seduttore, creò il suo
personaggio quasi mitico grazie alle partecipazioni a feste tra le più
lussuriose, agli episodi amorosi più piccanti e alle incredibili traversie
alle quali andò incontro nella sua vita sregolata, che portarono
avventure, scandalo e vivacità ovunque si recasse.
La Festa delle Marie
Questa antichissima festa veneziana, la cui origine è controversa e della
quale si hanno notizie solo a partire dal 1039, venne introdotta
presumibilmente intorno all’anno 943 e continuata poi all’interno del
periodo carnevalesco, quando esso venne istituito.
Nel giorno della purificazione di Maria, il 2 febbraio, a Venezia era
usanza celebrare il giorno della benedizione delle spose, durante il quale
venivano benedetti collettivamente, presso la Basilica di San Pietro di
Castello, i matrimoni di dodici fanciulle, scelte tra le più povere e
belle della città.
Per contribuire alla costituzione della dote di queste spose, le famiglie
patrizie di Venezia erano coinvolte con delle donazioni ed era
consuetudine del Doge concedere in prestito alle fanciulle gli splendidi
gioielli e gli ori provenienti dal tesoro della città. A seguito del
sontuoso matrimonio svolto alla presenza del Doge e della nobiltà
veneziana, le spose venivano accompagnate in corteo verso Piazza San
Marco. Giunte presso il Palazzo Ducale, le fanciulle ricevevano gli omaggi
dal Doge che le invitava con onore ad un ricco ricevimento a palazzo.
Successivamente il corteo si imbarcava sul Bucintoro che, scortato da
piccole e numerose imbarcazioni di concittadini festanti, percorreva il
Canal Grande verso Rialto, raggiungendo in seguito la Chiesa di Santa
Maria Formosa, dove si svolgevano altre solenni celebrazioni.
Pare che nel 943, al tempo del dogado di Pietro III Candiano, durante le
celebrazioni del matrimonio e tra lo stupore generale, irruppero in chiesa
dei pirati istriani che rapirono le spose con tutti i gioielli della dote,
custoditi da ciascuna di loro in graziose cassette decorate, chiamate
arcelle. Dopo l’iniziale incredulità e la confusione generata dal brutale
episodio, dei veneziani valorosi si posero all’inseguimento dei pirati,
salpando delle imbarcazioni ed organizzando una spedizione, con alla testa
il Doge stesso. Riuscirono a raggiungere i pirati presso Caorle, dove li
attaccarono ed uccisero tutti, liberando le dodici fanciulle e i loro
preziosi ori. Il Doge, affinché non vi fosse per nessuno la possibilità di
commemorare questi spregevoli individui, dispose che i cadaveri non
ricevessero sepoltura e che fossero tutti gettati in mare. Stabilì inoltre
che il luogo dove era avvenuto questo cruento episodio si chiamasse Porto
delle Donzelle, nome che a tutt’oggi permane.
In onore di questa vittoria sui pirati si decise quindi di istituire la
Festa delle Marie, da tenersi annualmente per celebrare l’evento. Iniziava
con la selezione di dodici tra le più belle ragazze di Venezia, scelte in
numero di due per ogni sestiere e ribattezzate per l’occasione Marie
(forse perché il maggior numero delle ragazze rapite aveva questo nome,
oppure dal nome della festa della purificazione di Maria). Venivano poi
invitate le famiglie patrizie ad impegnarsi nel fornire alle fanciulle le
vesti, gli addobbi e i gioielli per renderle ancor più principesche.
Il corteo delle Marie, sfilando in una processione di barche che
attraversava i rii della città, assistevano a funzioni religiose nelle
principali chiese di Venezia, partecipando a balli, musiche e rinfreschi
organizzati dai cittadini. La possibilità di avvicinarsi alle Marie era
considerata di buon auspicio, oltre che un’occasione per veneziani e
stranieri di vedere da vicino delle donne meravigliose, con indosso
addobbi rari e pregiatissimi.
La ricorrenza arrivò a durare fino a nove giorni e, nel 1272, il numero
delle Marie venne ridotto prima a quattro e poi a tre, soprattutto per
moderare gli enormi costi a carico dello Stato e delle famiglie patrizie.
Subì nel tempo altri cambiamenti ed evoluzioni, finché una modifica
inattesa giunse a comprometterne lo spirito e l’essenza principale: per
evitare che la festa fosse troppo caratterizzata dal desiderio di vedere
le bellezze femminili (piuttosto che di seguire la tradizione religiosa),
le autorità decisero di sostituire le Marie con delle loro sagome in
legno. Questa variazione portò inevitabilmente alle proteste dei
cittadini, che iniziarono ben presto a bersagliare le figure con sassi ed
ortaggi, tanto che nel 1349 venne varata una legge che vietava il lancio
di oggetti verso di esse. L’espressione di Maria de tola (Maria di
tavola), coniata per l’occasione, è utilizzata ancora oggi a Venezia per
indicare con irrisione il tipo di donna fredda e senza seno.
Negli anni a seguire la Festa delle Marie cadde lentamente in disuso e
venne soppressa nel 1379, epoca in cui Venezia era coinvolta nella guerra
di Chioggia. Come cerimonia ufficiale, rimase solo l'annuale visita del
Doge alla chiesa di Santa Maria Formosa.
Venne ripresa ufficialmente circa seicento anni dopo, nel 1999, anche se
realizzata in forma ridotta ed apportando alcune varianti.
Il Volo dell'Angelo
Il Campanile di San Marco visto dalla Piazzetta
La Piazzetta vista dal Campanile
In un’edizione del Carnevale verso la metà del 1500, tra le varie
manifestazioni e spettacoli organizzati in città, fu realizzato un evento
straordinario che fece molto scalpore: un giovane acrobata turco riuscì,
con il solo ausilio di un bilanciere, ad arrivare alla cella campanaria
del campanile di San Marco camminando, nel frastuono della folla
sottostante in delirio, sopra una lunghissima corda che partiva da una
barca ancorata sul molo della Piazzetta. Nella discesa, invece, raggiunse
la balconata del Palazzo Ducale, porgendo gli omaggi al Doge.
Dopo il successo di questa spettacolare impresa, subito denominata Svolo
del turco, l’evento, che solitamente si svolgeva il Giovedì Grasso, fu
richiesto e programmato come cerimonia ufficiale anche per le successive
edizioni, con tecniche simili e con forme che con gli anni subirono
numerose varianti.
Per molti anni lo spettacolo, mantenendo lo stesso nome, vide esibirsi
solo funamboli di professione, finché non si cimentarono nell’impresa
anche giovani veneziani, dando prova di abilità e coraggio con varie
spericolatezze e variazioni sul tema.
Quando queste variazioni portarono a prevedere, per lunghi anni di
seguito, un uomo dotato di ali ed appeso con degli anelli alla corda,
issato e fatto scendere a gran velocità lungo la fune, si coniò il nuovo
termine di Volo dell’Angelo. Il prescelto, al termine della discesa nel
loggione di Palazzo Ducale, riceveva sempre dalle mani del Doge dei doni o
delle somme in denaro. Vi furono alcune edizioni che videro gli acrobati
utilizzare per i loro spettacoli degli animali, barche e varie altre
figure, oltre a rendere l’impresa sempre più difficile con ardite
evoluzioni e anche svoli collettivi.
Nel 1759, l’esibizione finì in tragedia: ad un certo punto, l’acrobata si
schiantò al suolo tra la folla inorridita. Probabilmente a causa di questo
grave incidente, l’evento, svolto con queste modalità, fu vietato. Da
questo momento il programma si svolse sostituendo l’acrobata con una
grande colomba di legno che nel suo tragitto, partendo sempre dal
campanile, liberava sulla folla fiori e coriandoli. Dalla prima di queste
edizioni, il nome di Volo dell’Angelo divenne quindi Volo della Colombina.
Tale evento, come la maggior parte delle altre ricorrenze e spettacoli,
con la fine della storia millenaria della Serenissima si interruppe per un
lungo periodo.
Le maschere della Commedia dell'Arte [modifica]
Per approfondire, vedi la voce Commedia dell'arte.
« Qui la moglie e là il marito
Ognuno va dove gli par
Ognun corre a qualche invito,
chi a giocar chi a ballar »
(Carlo Goldoni)
Il Carnevale diede impulso ad un numero crescente di spettacoli mascherati
allestiti nei teatri privati della città. Gli eventi erano spesso
allestiti e finanziati da famiglie nobili veneziane, le quali intravidero
presto l’esigenza di affidare le rappresentazioni, sempre più elaborate, a
grandi artisti e veri professionisti della recitazione. Questi spettacoli
in luoghi privati erano inizialmente riservati ad un ristretto pubblico di
famiglie nobili. Verso la metà del 1500, seguendo il grande sviluppo e la
richiesta di questo genere artistico, a Venezia aprirono numerosi altri
piccoli teatri, rivolti anche ad un pubblico popolare.
Verso l’inizio del 1600, con l’incremento del numero e della qualità delle
compagnie teatrali, formate ormai da artisti professionisti ed apprezzate
anche fuori città, si svilupparono vere e proprie attività legate al mondo
della commedia teatrale, delle arti sceniche e dell’artigianato dei
costumi e delle maschere.
Emersero numerosi e talentuosi autori teatrali, diventando celebri
rappresentando opere sempre più raffinate e complesse. La definizione di
commedia dell’arte nasce proprio a Venezia e risale al 1750, quando il
drammaturgo e librettista Carlo Goldoni lo introduce all’interno della sua
commedia Il teatro comico.
Gli eccessi e le limitazioni
Maschere al Carnevale di Venezia
Il Carnevale diede la possibilità, a tutti, di celare completamente la
propria identità sotto un costume e ciò portò inevitabilmente a qualche
eccesso. Sfruttando i travestimenti, qualche malintenzionato ne approfittò
per escogitare e compiere una serie di malefatte, più o meno gravi.
Per questo motivo le autorità dovettero introdurre a più riprese e per
decreto delle limitazioni, dei divieti e delle pesantissime sanzioni
contro l’abuso e l’utilizzo fraudolento o non ortodosso dei travestimenti.
In effetti, soprattutto durante le ore notturne, indossando un
travestimento e con la complicità del buio, era più facile commettere
reati di varia natura, come scippi, ruberie e molestie, senza la minima
possibilità di essere riconosciuti. Già a partire dal 22 febbraio 1339 si
decreta quindi il divieto notturno di circolare in maschera per la città.
Un altro abuso che si rese piuttosto comune riguardava la possibilità
degli uomini, travestiti da donne o con indosso abiti religiosi, di
approfittare delle loro mentite spoglie per entrare nei luoghi sacri,
nelle chiese e nei monasteri, per compiere atti indecenti e libertini
anche con le religiose. Con un apposito decreto del 24 gennaio 1458 si
proibisce perciò l’ingresso in maschera nei luoghi sacri, al fine di
evitare che fossero compiute multas inhonestates.
Un pericolo per la pubblica sicurezza poteva derivare dalla possibilità
degli ampi mantelli come i tabarri, molto diffusi ed utilizzati in
abbinamento a varie maschere, di poter nascondere facilmente armi e
oggetti pericolosi, con l’intento di offendere. Vi furono pertanto
numerosi atti ufficiali che stabilirono e ribadirono di continuo il
divieto assoluto di portare con sé qualunque oggetto di natura pericolosa
per l’incolumità altrui. Le pene per questi reati erano molto pesanti, sia
pecuniarie, con sanzioni salate, che di reclusione, con la comminazione di
diversi anni di galera.
La professione di prostituta fu da sempre contrastata e allo stesso tempo
tollerata all’interno della Repubblica, talvolta addirittura incentivata e
richiesta da molti veneziani e stranieri, ma considerata sempre fonte di
perdizione e malcostume, nonché origine di pericolose malattie come la
sifilide. Per questi motivi le meretrici dovevano sottostare a numerose
limitazioni, rigidamente imposte. Anche le prostitute, però, potevano
facilmente confondersi con le maschere ed esercitare la loro professione
aggirando i limiti stabiliti. Si arrivò quindi a regolamentare
ulteriormente la materia e a stabilire il divieto della prostituzione in
maschera, con pene piuttosto severe: oltre ad una multa salata, erano
bandite per quattro anni dal territorio della Repubblica, dopo essere
state sottoposte, lungo il tragitto da Piazza San Marco a Rialto, al
supplizio delle frustate e messe alla berlina tra le due colonne della
Piazzetta.
Con la diffusione delle case da gioco si registrarono episodi in cui
alcuni giocatori d’azzardo, in maschera, sfruttavano l’anonimato per
sfuggire ai creditori. Nel 1703 fu quindi totalmente proibito di recarsi
in maschera presso questi luoghi.
Più tardi, nel 1776, venne invece proibito alle donne sposate di recarsi a
teatro senza maschera, al fine di proteggerne l’onorabilità.
Dopo la caduta della Serenissima, avvenuta nel 1797, si arrivò infine alla
proibizione definitiva dei mascheramenti, ad eccezione di quelli durante
le feste private nei palazzi e del Ballo della Cavalchina al Teatro la
Fenice. Come conseguenza, iniziò velocemente una fase di declino dello
spirito che aveva animato per secoli questo storico Carnevale e le
manifestazioni e feste si spensero gradualmente.
Il Carnevale moderno
Maschera al Carnevale di Venezia
Nel 1797, con l’occupazione francese di Napoleone e con quella successiva
austriaca, nel centro storico la lunghissima tradizione fu interrotta per
timore di ribellioni e disordini da parte della popolazione. Solamente
nelle isole maggiori della Laguna di Venezia, come Burano e Murano, i
festeggiamenti di Carnevale proseguirono il loro corso, anche se in tono
minore, conservando un certo vigore ed allegria.
Solo nel 1979, quasi due secoli dopo, la secolare tradizione del Carnevale
di Venezia risorse ufficialmente dalle sue ceneri, grazie all’iniziativa e
all’impegno di alcune associazioni di cittadini e al contributo logistico
ed economico del Comune di Venezia, del Teatro la Fenice, della Biennale
di Venezia e degli enti turistici.
Nel giro di poche edizioni, grazie anche alla visibilità mediatica
riservata all’evento e alla città, il Carnevale di Venezia è tornato a
ricalcare con grande successo le orme dell’antica manifestazione, anche se
con modalità ed atmosfere differenti.
Le singole edizioni annuali di questo nuovo Carnevale sono state spesso
contraddistinte e dedicate ad un tema di fondo, al quale ispirarsi per le
feste e gli eventi culturali di contorno. Alcune edizioni sono state anche
caratterizzate da abbinamenti e gemellaggi con altre città italiane ed
europee, fornendo in questo modo un ulteriore coinvolgimento dell’evento a
livello internazionale.
L’attuale Carnevale di Venezia è diventato un grande e spettacolare evento
turistico, che richiama migliaia di visitatori da tutto il mondo che si
riversano in città per partecipare a questa festa considerata unica per
storia, atmosfere e maschere.
I giorni tradizionalmente più importanti del Carnevale veneziano sono il
Giovedì grasso e il Martedì grasso, anche se le maggiori affluenze si
registrano sicuramente durante i due fine settimana dell’evento.
Le feste
Negozio di maschere a Venezia
Con la prima edizione del Carnevale recente si istituisce da subito un
programma di eventi ed un calendario dettagliato per la nuova grande
manifestazione. Si stabilisce la data dell’inizio dei festeggiamenti
ufficiali in coincidenza con il sabato precedente al Giovedi Grasso ed il
termine con il Martedi Grasso, per una durata complessiva di soli undici
giorni. A differenza del Carnevale di un tempo, che a lungo ebbe una
durata ufficiale di ben sei settimane, quello moderno si svolge con un
programma concentrato ma ricco di singoli appuntamenti.
Come in passato, ancora oggi il Carnevale di Venezia rappresenta una
grandiosa festa popolare per un vasto pubblico di tutte le età. Feste di
piazza ed eventi di ogni tipo animano le giornate delle comitive di
maschere e di turisti, che allegramente si disseminano per la città.
Oltre alle feste ufficiali di piazza tra campi e campielli, ancora oggi
come in passato si organizzano svariate feste private e balli in maschera
presso i grandi palazzi veneziani. In questi luoghi, ricchi di arredi ed
atmosfere quasi immutate nel tempo, è possibile rivivere gli antichi
splendori e la tradizione del Carnevale di un tempo.
La Festa delle Marie
Festa delle Marie
Solo nel 1999 l’antichissima Festa delle Marie è stata finalmente
ripristinata, con un'atmosfera che unisce la rievocazione storica
dell’antico corteo con le fanciulle, ad un più moderno concorso di
bellezza in costume.
Nelle settimane che precedono il Carnevale di Venezia, si tiene una sorta
di concorso tra le giovani bellezze locali per scegliere le dodici Marie
che sfileranno come protagoniste del corteo, durante la celebrazione.
La festa si svolge il pomeriggio della prima domenica del Carnevale,
quando le dodici Marie, accompagnate da un corteo formato da una
processione di damigelle d’onore, sbandieratori, musicisti e centinaia di
altri figuranti in costume d’epoca, inizia il suo lento cammino partendo
dalla chiesa di San Pietro di Castello dirigendosi verso Piazza San Marco,
tra le ali di una folla di turisti e di maschere.
In Piazza San Marco, infine, le damigelle sfilano per l'elezione della più
bella tra le dodici, in attesa della proclamazione ufficiale della
vincitrice dell’edizione, alla quale viene inoltre assegnato un
consistente premio.
Il Volo dell'Angelo
Nel Carnevale moderno si è deciso di ripresentare al pubblico, in una
veste simile a quella originale dell’antico Carnevale, la ricorrenza del
Volo dell’Angelo, nella sua variante di Volo della Colombina. Mentre in
passato questo spettacolo veniva celebrato il Giovedì Grasso, nelle
edizioni moderne esso viene svolto generalmente a mezzogiorno della prima
domenica di festa, come uno degli eventi di apertura che decretano
ufficialmente l’inizio del Carnevale stesso. Sopra una folla festante, con
lo sguardo rivolto al Campanile di San Marco, un uccello meccanico dalle
sembianze di una colomba effettua come un tempo la sua discesa sulla corda
verso il Palazzo Ducale. Arrivato circa a metà percorso, viene aperta una
botola nella sua parte inferiore, che libera sulla Piazzetta gremita
innumerevoli coriandoli e confetti od altri piccoli doni.
Dall’edizione del 2001, la prima del millennio, si è passati nuovamente
alla vecchia formula del Volo dell’Angelo, sostituendo la Colombina con un
artista in carne ed ossa. L'artista, assicurato ad un cavo metallico,
effettua la sua discesa dalla cella campanaria del campanile scorrendo
lentamente verso terra, sospeso nel vuoto, sopra la moltitudine che
riempie lo spazio sottostante. |